La crescente crisi del debito cinese, punto focale del discorso economico globale, è stata recentemente sottolineata dalla decisione di Moody's di declassare le prospettive creditizie del paese. Questo sviluppo, tuttavia, è solo la punta dell’iceberg in termini di sfide che deve affrontare la seconda economia mondiale.
Il Fondo monetario internazionale (FMI) ha messo in luce che il rapporto debito/PIL della Cina è salito alle stelle a partire dagli anni ’80, in particolare nell’ultimo decennio. Un aumento del debito senza precedenti, che rappresenta oltre la metà dell’aumento del rapporto debito/PIL dell’economia globale dal 2008, indica problemi profondamente radicati nel quadro economico della Cina.
Svelare la vera natura della sfida del debito cinese
L’impennata del debito cinese è allarmante, ma è semplicemente il sintomo di un problema più profondo: l’errata allocazione degli investimenti nell’ultimo decennio. Capitali significativi sono stati incanalati nel settore immobiliare in eccesso, nelle infrastrutture e, sempre più, nel settore manifatturiero. Questa cattiva allocazione ha portato a perdite cumulative, ma non riconosciute, mascherando la vera salute dell’economia.
Gran parte del dibattito sulla crisi del debito cinese è incentrato sulla riduzione al minimo dei disagi nel sistema bancario e sulla gestione delle passività di bilancio. Tuttavia, la radice del problema non risiede nelle passività, bensì nel lato attivo di questi bilanci.
Gli investimenti che hanno portato alla nascita di questi debiti sono stati capitalizzati invece di essere riconosciuti come perdite. Questa impropria capitalizzazione delle perdite ha portato a un’inflazione degli utili e del valore degli asset, creando asset fittizi che non sono in grado di generare rendimenti o di onorare i debiti che li finanziavano.
Gli effetti a catena degli investimenti mal allocati
La strategia economica della Cina di capitalizzare le perdite invece di riconoscerle ha profonde implicazioni. In un contesto di forti vincoli di bilancio, le entità che allocano in modo errato gli investimenti rischiano il fallimento, con conseguenti svalutazioni delle attività e riconoscimento delle perdite.
Tuttavia, nei settori che operano con vincoli di bilancio flessibili, come le imprese statali e i governi locali, l’accesso al credito sponsorizzato dallo Stato sostiene gli investimenti non produttivi. Questa situazione ha portato ad anni di perdite sugli investimenti non riconosciute, durante i quali sia gli utili che i valori patrimoniali registrati superavano di gran lunga i loro valori reali.
Nel momento in cui queste entità a budget ridotto non potranno più rinnovare ed espandere i propri debiti, saranno costrette a riconoscere che il valore reale dei loro asset è inferiore al valore registrato. Questo riconoscimento rappresenta un problema enorme e difficile da risolvere per la Cina, poiché implica il riconoscimento dell’intera portata delle perdite e la loro rapida allocazione in modi economicamente e politicamente efficienti.
Rinviare questo riconoscimento, analogamente all’approccio adottato dal Giappone negli anni ’90, non fa altro che esacerbare il costo economico. L’attenzione di Pechino dovrebbe quindi concentrarsi non solo sulla gestione delle conseguenze dal lato delle passività di un debito eccessivo, ma anche, e soprattutto, sulle conseguenze dal lato delle attività. La chiave per risolvere la crisi del debito cinese sta nel riconoscere e allocare in modo efficiente queste perdite.
In sostanza, la crisi del debito cinese, sebbene significativa, è solo una parte delle sfide economiche più ampie del paese. Il vero problema risiede negli anni di cattiva allocazione degli investimenti e nelle conseguenti attività fittizie. Mentre la Cina è alle prese con queste sfide, l’economia globale osserva da vicino, comprendendo che la risoluzione di questi problemi è fondamentale non solo per la Cina ma per l’economia mondiale in generale.