La Cina e la spirale del pericolo deflazionistico

Mentre gran parte del mondo è alle prese con lo spettro dell’inflazione, la Cina si trova ad affrontare una sfida unica: la minaccia della deflazione. Il deflatore del prodotto interno lordo (PIL) del Paese, un indicatore completo dei prezzi di tutti i beni e servizi, è sceso a un valore negativo dell’1,4%, segnando due trimestri consecutivi di contrazione. Questa flessione dei prezzi ha avuto un impatto significativo sulla crescita del PIL nominale della Cina, che è in ritardo rispetto a quella degli Stati Uniti, attestandosi ad un modesto 3,5% nel terzo trimestre.

Le sfide della deflazione

La deflazione, spesso messa in ombra dalla sua controparte più discussa, l’inflazione, pone seri rischi per un’economia, soprattutto per una vasta come quella cinese. Il calo del deflatore del PIL non solo aumenta il peso del tasso reale sui debitori, ma continua anche a spingere verso l’alto il rapporto debito/PIL. Con il rallentamento della crescita del PIL nominale, il debito si accumula più velocemente della crescita dell’economia, portando a un potenziale squilibrio finanziario.

Inoltre, un ambiente deflazionistico può avere un effetto dannoso sui ricavi e sui profitti aziendali. Se le aziende si trovano ad affrontare un calo dei prezzi, potrebbero ricorrere a una riduzione della crescita salariale per mantenere la redditività. Ciò, a sua volta, potrebbe innescare un ciclo dannoso di diminuzione della domanda aggregata e intensificazione delle pressioni deflazionistiche.

La situazione della Cina è ulteriormente complicata dagli elevati rapporti debito/PIL e dalle sfide demografiche, che formano una triade di ostacoli economici – le “3 D”: debito, demografia e deflazione. Questi problemi sono accentuati dalla riduzione dell’indebitamento nel settore immobiliare e nei governi locali, settori che insieme costituiscono una parte significativa del PIL cinese.

Navigare nel labirinto deflazionistico

In risposta a queste pressioni deflazionistiche, i policy maker cinesi hanno messo in atto un mix di politiche monetarie e fiscali volte a stimolare la domanda. Tuttavia, l’efficacia di queste misure rimane oggetto di dibattito. Le politiche attuate finora sembrano insufficienti per spingere il deflatore del PIL nell’intervallo desiderato del 2-3%, considerato favorevole ad una sana crescita aziendale.

L’esitazione nella risposta politica è in parte dovuta alle preoccupazioni per un accumulo improduttivo di debito, che ha portato al processo iniziale di riduzione della leva finanziaria. La reazione al rallentamento economico è stata reattiva piuttosto che proattiva, contribuendo alla persistenza del rischio deflazionistico. L’atto di bilanciamento prevede l’incremento della domanda aggregata senza esacerbare la situazione del debito – una sfida che richiede una gestione delicata.

Inoltre, il mix di crescita della Cina è fortemente sbilanciato verso gli investimenti, che, sebbene significativi, hanno portato a rendimenti decrescenti, sovraccapacità e ulteriori pressioni deflazionistiche. Questa propensione agli investimenti è andata storicamente a scapito dei consumi, che potrebbero fornire un percorso di crescita più sostenibile.

La strategia ottimale, quindi, sta nello stimolare i consumi. Ciò potrebbe comportare un aumento della spesa pubblica in settori di assistenza sociale come l’istruzione, la sanità e l’edilizia pubblica, sbloccando così gli elevati risparmi delle famiglie del paese. Tuttavia, ci sono poche indicazioni che un tale cambiamento sia in atto, con il rapporto spesa pubblica/PIL per il welfare sociale che rimane relativamente invariato.

Il percorso della Cina verso un contesto inflazionistico più sano appare subordinato a due fattori chiave: il riequilibrio dell’economia verso i consumi e un impulso al ciclo commerciale globale. Il rischio di un ciclo debito-deflazione incombe fortemente, con i recenti dati sulla crescita e sull’inflazione che suggeriscono che la minaccia è lungi dall’essere finita. Per la Cina, affrontare questa spirale deflazionistica non è solo un imperativo economico, ma una prova di acume politico e di resilienza di fronte a sfide complesse e intrecciate.

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