Il ritorno del grande governo: finanziare la sfida della revisione

Una ripresa, dall’impatto quasi sismico, sta attualmente scuotendo le fondamenta dei sistemi economici globali. Il grande governo sta facendo un grande rientro, sfidando le nostre convinzioni di lunga data sulle politiche e sugli interventi fiscali. Un cambiamento di paradigma è imminente e le sue implicazioni sono scoraggianti, sia a livello fiscale che politico.

Nuove direzioni nei dialoghi finanziari

Nel contesto dello stimato simposio di Jackson Hole, dove i banchieri di solito dominano le discussioni con le loro previsioni di politica monetaria, una voce inaspettata ha catturato le luci della ribalta. Il professor Barry Eichengreen, un accademico e non un banchiere, ha portato notizie che fanno riflettere.

I colossali debiti pubblici accumulati durante la pandemia non scompariranno presto. Contrariamente alle aspettative di una crescita economica che riduce questi debiti, i governi stanno, di fatto, aumentando la spesa.

Le preoccupazioni non sono infondate. Un semplice sguardo alla Reaganomics negli Stati Uniti e al Thatcherismo nel Regno Unito degli anni ’80 rivela un netto contrasto. Allora l’attenzione si è concentrata su stati più snelli, meno tasse e interventi minimi.

Ora, questioni come le conseguenze del Covid-19, la rivoluzione dell’energia verde e le crescenti pressioni geopolitiche stanno costringendo i governi a tuffarsi a capofitto.

Il coraggioso nuovo mondo fiscale

Non è solo una questione di spesa, però. Si tratta di ridefinire radicalmente il ruolo del governo nei cicli economici. Con l’incremento dell’intervento si pone il compito colossale di finanziarlo. Sono finiti i tempi dei prestiti facili sui mercati obbligazionari. Il costo del prestito è aumentato, rendendo difficile l’ulteriore spesa. Il punto cruciale sta nel navigare nelle acque insidiose dell’aumento delle entrate fiscali. Ma tassare i giovani per i benefici di una popolazione che invecchia ed economicamente passiva? È una ricetta per una reazione politica.

Il focus dell’aumento della spesa è evidente: la difesa, l’evoluzione demografica e la marcia incessante verso la lotta al cambiamento climatico. L’era post-guerra fredda, un tempo dominata dalla pace, ha lasciato il posto a scenari geopolitici sempre più intensi. Basta guardare alla radicale espansione del bilancio della difesa in nazioni come il Giappone o all’impegno della Germania rispetto agli obiettivi di spesa per la difesa della NATO. Questi non sono semplici gesti simbolici; segnalano un significativo riorientamento politico.

Nel frattempo, sul fronte interno, l’invecchiamento della popolazione incombe. Entro il 2050, per ogni due individui in età lavorativa, ci sarà una persona con più di 65 anni. Questo cambiamento richiede assistenza sanitaria e fondi pensione colossali.

Il percorso verso l’azzeramento delle emissioni nette di carbonio complica ulteriormente lo scenario. Mentre le singole nazioni sono alle prese con le innovazioni tecnologiche, la volontà collettiva dei governi diventa fondamentale. I soli sforzi potrebbero rafforzare la sicurezza nazionale, ma amplificano anche i costi associati a un futuro più verde.

Camminare sul filo del rasoio fiscale

Poi c'è il vaso di Pandora aperto dalla pandemia. I governi, nel tentativo di fornire una rete di sicurezza durante la crisi, hanno inavvertitamente creato dei precedenti. Il pubblico ha assaporato l’intervento attivo del governo, sia sotto forma di campagne di vaccinazione di massa che di aiuti finanziari. Tali coinvolgimenti non sono solo sfide logistiche; sono dinamite politica. Richiedono decisioni difficili su dove allocare i fondi e chi tassare. Dire che si tratta semplicemente di far quadrare i conti sarebbe un grosso eufemismo.

Consideriamo, ad esempio, l’audace piano di sussidi verdi del presidente Joe Biden, l’Inflation Reduction Act. Deviando ingenti fondi verso la tecnologia verde e la produzione, sta stabilendo nuovi parametri di riferimento nella governance incentrata sugli investimenti. Questa strategia potrebbe riecheggiare quelle del passato, ma la sua tempistica, in un contesto di stagnazione economica e di condizioni finanziarie tese, non ha precedenti.

Quindi, dove ci porta questo? Una danza precaria sul filo del rasoio fiscale. Con i debiti pubblici già gonfiati, l’inflazione in aumento e le banche centrali che si affrettano a stabilizzare i prezzi, l’indebitamento quotidiano sta diventando una dura battaglia. Anche se le tasse sembrano essere la parola magica, c'è un limite. I dati storici suggeriscono che ci stiamo avvicinando ai livelli più alti di livelli di tassazione sostenibili.

Di fronte a tali sfide, le misure simboliche non saranno sufficienti. Abbiamo bisogno di riforme radicali, non solo di modifiche. Dalla rivalutazione delle dinamiche delle imposte sul capitale e sul reddito all’ampliamento della portata della tassazione sulla ricchezza, tutte le carte devono essere sul tavolo. E mentre esploriamo queste strade, le lezioni della storia, come la tassa sul carbone del XVII secolo dopo il Grande Incendio di Londra, offrono spunti preziosi. Con le tasse ambientali all’orizzonte, è fondamentale valutare i pro rispetto a qualsiasi potenziale conseguenza.

In sintesi, se la transizione verde è la nostra visione condivisa, allora un forte impegno del settore pubblico, abbinato a una prudente tassazione del carbonio, non è negoziabile. Il ritorno del grande governo richiede niente di meno che la nostra totale attenzione, un volto coraggioso e un esame critico.

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