Un tempo venerato come il resistente drago d’Oriente, l’economia cinese ora lotta con la tumultuosa caduta della sua valuta. La diminuzione del valore dello yuan dipinge un quadro desolante, che fa eco alle sfide affrontate da un settore manifatturiero che ansima per lo slancio.
Burrasche economiche e vele vacillanti
Le maree della fortuna non stanno favorendo lo yuan cinese. Scendendo ai minimi dal 2007, questo crollo della valuta coincide con un evidente calo delle esportazioni, segnando il quarto mese consecutivo di contrazione in agosto. Ora, alcuni potrebbero obiettare che il calo non è stato così netto come previsto – 8,8% rispetto al 9,2% previsto – ma quando ci si trova in una spirale discendente, le piccole vittorie contano poco. I dati sottolineano ancora l’allarmante crollo del 14,5% di luglio, il più ripido dall’inizio della pandemia.
È intrigante, considerando lo slancio mostrato dal settore commerciale cinese durante quei cupi lockdown. Il mondo ha osservato come gli esportatori cinesi fossero al centro della scena. Ma l'anno non è stato clemente. L’inflazione globale aumenta e i clienti globali stanno stringendo i cordoni della borsa.
Il calo dello yuan – quasi il 6% rispetto al dollaro quest'anno – rispecchia questo declino. La crescente forza del dollaro statunitense e una serie di rapporti economici poco brillanti hanno pesato sulla valuta cinese. Le consuete tattiche adottate dai pezzi grossi cinesi per contrastare questa situazione non hanno dato i loro frutti. In effetti, le voci nei corridoi finanziari suggeriscono che la Banca popolare cinese potrebbe ricalibrare la sua banda valutaria, suggerendo una maggiore volatilità dello yuan.
Crescita stagnante e scommesse speranzose
Le preoccupazioni aumentano mentre due importanti pistoni del motore economico cinese – commercio e produzione – continuano a scoppiettare. Le speranze di una ripresa post-pandemia sembrano un sogno lontano. Sebbene Pechino abbia mostrato una sorprendente moderazione nell’attuazione di grandi misure di stimolo, i dati sulla crescita difficilmente testimoniano il suo approccio. Il secondo trimestre ha mostrato un magro aumento dello 0,8%, con luglio che ha visto un crollo dei prezzi al consumo e delle attività industriali in calo per il quinto mese consecutivo.
In questo contesto cupo, il tentativo della Cina di rilanciare il proprio mercato immobiliare sembra una mossa disperata. Gli scettici, come me, sostengono che queste misure non raggiungono l’ambizioso obiettivo di crescita del 5% per l’intero anno. Il livello è stato abbassato ed è ancora una battaglia in salita.
Anche i dati di agosto non ispirano molta fiducia. Le importazioni sono crollate del 7,3%, anche se si è trattato di una leggera ripresa rispetto al calo del 12,4% di luglio. Con un surplus commerciale in calo del 13,2% su base annua, è chiaro che le cose sono tutt’altro che rosee.
Ma non ci sono solo nuvole temporalesche all’orizzonte. Le esportazioni di automobili hanno registrato un formidabile aumento e l’abilità della Cina nei veicoli elettrici è evidente. C’è stato anche un notevole aumento delle importazioni di petrolio greggio e soia. E il rapporto commerciale della Cina con l’Associazione delle nazioni del sud-est asiatico è ancora forte, nonostante un calo nelle loro relazioni commerciali con potenze tradizionali come UE, Stati Uniti e Giappone.
Alcuni esperti economici ritengono che il settore manifatturiero si stia gradualmente scrollando di dosso la lentezza indotta dalla pandemia. Tuttavia, non posso fare a meno di pensare che potremmo essere sull’orlo di una recessione commerciale mondiale, con i passi falsi economici della Cina che avranno un effetto domino sulle industrie globali e sui prezzi delle materie prime.
In sintesi, la potenza economica cinese mostra alcune crepe. La lotta dello yuan rispecchia un malessere più profondo. È un campanello d’allarme, non solo per la Cina ma per il mondo in generale.